Verso una moda più green

Di Marzia Formoso

Laureata in Sociologia Dipartimento di scienze sociali ed economiche all’Università La Sapienza, Roma.

“L’industria della moda non dovrebbe costarci la terra” Environmental Audit Committee, UK house of commons

Cosa significa sostenibilità?

Quando si parla di sostenibilità ci si riferisce a tutti quegli aspetti e azioni quotidiane che, nel breve o nel lungo periodo e sotto vari punti di vista, portano a migliorare l’ambiente in cui l’uomo vive. Questo implica necessariamente un equilibrio tra il consumo di risorse se e la loro rigenerazione, così come tra la produzione di inquinanti e la loro naturale eliminazione. Inoltre, da quando è entrato nel vocabolario comune, il concetto di sostenibilità ha assunto diverse acce zioni ed estensioni, di volta in volta applicate ai contesti di riferimento. Uno degli argomenti che ricade in tale concetto è certamente l’ecologia e questo tema è storicamente e inevitabilmente un fenomeno post-moderno, suscitato da mondo divenuto industrializzato, tecnologico, commerciale e globalizzato, nel quale si aprono e si accrescono le questioni legate all’emergenza ambientale, allo spreco delle risorse naturali, ai costi dell’energia, al riscaldamento globale, alla tossicità dei prodotti industriali, all’inquinamento dell’aria e delle acque ed infine allo smaltimento dei rifiuti. Gli argomenti ecologisti affrontano tutto questo, individuando, per esempio, alcune soluzioni nel necessario mutamento degli stili di vita e di consumo, nell’efficienza e risparmio energetico, nel riciclo e riuso degli oggetti a fine ciclo di vita, sulla salvaguardia dell’ambiente e della salute ed infine nella limitazione o abbattimento delle emissioni di sostanze inquinanti nocive.

Come nasce la moda sostenibile?

Di quest’ultima non se ne è mai parlato così tanto come attualmente e negli ultimi anni si è acceso sempre di più il dibattito soprattutto sulle questioni ambientali, su cosa sia giusto o sbagliato, su cosa e come migliorare o alle volte eliminare per salvaguardare l’ambiente e la vita stessa dell’uomo.

I consumatori, sempre più consapevoli ed esigenti, non si accontentano più di capi belli da indossare, ma desiderano sapere come tali capi vengono prodotti e assicurassi che i modi, tempi e luoghi di produzione non contribuiscano a deteriorare le condizioni ambientali del pianeta e le condizioni lavorative del personale addetto alla produzione. Notoriamente, infatti, molti lavoratori del settore dell’abbigliamento, soprattutto in paesi in via di sviluppo, sono costretti a compiere il loro lavoro in condizioni di estrema miseria e sfruttamento (per conoscere meglio questo aspetto delle filiere tessili si consiglia la visione del film “The True  Cost” di Andrew Morgan). Negli ultimi anni, inoltre, l’attenzione per la sostenibilità è cresciuta e circa il 70% dei consumatori è disposto a spendere dal 5% al 10% in più per abiti ecosostenibili e di conseguenza le varie imprese nel settore si stanno convertendo ad una produzione sempre più green.

  • Aumentare il valore della produzione e dei prodotti locali

  • Prolungare il ciclo di vita dei materiali

  • Aumentare il valore di capi di abbigliamento senza tempo

  • Ridurre la quantità di rifiuti e per ultimo ma non meno importante, ridurre i danni all’ambiente creati dalla produzione e dal consumo (come attuato per esempio dalla moda fast fashion). 

Cos’é la fast fashion? e l’incidente di Rana Plaza

La filiera tessile della Fast Fashion negli ultimi 20 anni ha causato gravi danni ambientali e sociali, in ulteriore aumento con l’arrivo degli acquisti online. Sostanze cancerogene per l’uomo come tinture per tessuti e materie prime utilizzate per la realizzazione degli indumenti, come cotone e poliestere (materiale sintetico altamente tossico derivato dal petrolio, quindi non biodegradabile e non riciclabile), entrano in contatto con il nostro corpo e vengono rilasciate dai vestiti ad ogni lavaggio, contaminando mari e oceani.

L’impatto ambientale che l’industria della moda sta rovinando negli ultimi anni è giunto ad uno stadio critico, si è stimato infatti che tale industria produca tra l’8% e il 10% delle emissioni globali di CO2, ovvero tra i 4-5 miliardi di tonnellate all’ anno (United Natios Climates Change, 2018). Inoltre, questo tipo di industria, è la maggior consumatrice d’acqua con 79 trilioni utilizzati all’anno contribuendo a circa il 35% dell’inquinamento degli oceani producendo più di 92 milioni di tonnellate l’anno di rifiuti tessili, molti dei quali gettati in discariche o bruciati.

Uno degli incidenti più grandi della storia della Fast Fashion è quello di Rana Plaza in Bangladesh, dove nel 2013 morirono oltre 1000 dipendenti e rimasero ferite più di 2500 persone. Rana Plaza era una fabbrica di abbigliamento dove i dipendenti lavoravano giorno e notte in condizioni estreme. I dipendenti stessi notare delle crepe rilevanti nei muri, ma i dirigenti continuarono a farli lavorare minacciando di licenziarli. Il 24 aprile 2013, la tragedia li colpì: a Dhaka, l’edificio di 8 piani, dove erano collocati 5 diversi marchi internazionali di fabbriche tessili e di abbigliamento, crollò. Solo dopo questo drammatico episodio il mondo ha cominciato a rendersi conto di cosa si nascondesse dietro l’industria della moda. Trai brand più noti che ad oggi sostengono la così detta “moda istantanea” ci sono: Zara, H&M, Primark, Berskha, Stradivarius e Benetton che continuano ad aprire nuovi negozi in Europa e nel mondo incrementando notevolmente il fenomeno.

Il cotone, la fibra più utilizzata nel mondo é il maggior nemico della sostenibilità

Il cotone, la fibra naturale più diffusa e la più grande coltura non alimentare, è leggero ma resistente e viene utilizzato per realizzare metà dell’abbigliamento e dei testi del mondo, dalle magliette, ai jeans fino agli accessori. Ma le conseguenze della sua coltivazione e produzione sono enormi sprechi d’acqua, erosione del suolo ed emissione di gas climalteranti. Una ricerca del WWF e delle Better Cotton Initiative (BCI) classifica il cotone come uno dei tessuti più inquinati a causa della sua elevata richiesta di irrigazione: basti pensare che per produrre un chilo di cotone utile per confezionare una T-shirt e un paio di jeans servono almeno 20.000 litri d’acqua. Ma questa fibra non comporta solo l’uso eccessivo di risorse primarie. Altri fattori di inquinamento includono l’uso di fertilizzanti e pesticidi che, oltre ad essere molto costosi, sono anche dannosi per l’ambiente e per la salute dei lavoratori nelle piantagioni. In soli 50 anni, l’industria del cotone con i suoi consumi esorbitanti ha già inquinato numerose falde acquifere in tutto il mondo, ridotto la fertilità del suolo e distrutto ecosistemi di larga scala.
Altro punto focale di questa battaglia in nome della sostenibilità è la condizione lavorativa dei coltivatori che, inalando le sostanze chimiche presenti nei pesticidi e fertilizzanti, rischiano la vita ogni giorno. In nome di una moda biologica, attenta all’ambiente, e di una moda solidale volta a salvaguardare i lavoratori dal settore, diverse organizzazioni internazionali si sono fatte promotrici di esperimenti e tecniche innovative volte a ridurre l’impatto ambientale del cotone. Per esempio il WWF, che in collaborazione con la BCI, ha messo in atto numerosi progetti per il miglioramento dei processi di coltivazione di questa fibra, cominciando proprio dall’India e dal Pakistan, due tra i più grandi produttori mondiali. Dalla riduzione di sostanze chimiche utilizzate nelle piantagioni al potenziamento dei sistemi di irrigazione, questi progetti hanno dimostrato che grazie alle attuali tecnologie è possibile ridurre gli sprechi, rispettando i diritti dei lavoratori e al contempo migliorandone le condizioni economiche. 

Una soluzione a tale fenomeno risulta essere il cotone biologico, detto anche organico, è coltivato con metodi e prodotti a basso impatto ambientale. Per la sua produzione i coltivatori utilizzano sistemi di produzione biologica per fertilizzare il terreno, seno utilizzare pesticidi e fertilizzanti chimici. il cotone biologico è coltivato in 22 paesi del mondo, ma rappresenta ancora oggi solo l’1% percento della produzione mondiale di cotone.

I brand che rispettano l’ambiente

Alcuni brand ormai lavorano nel pieno rispetto del territorio e delle e persone come per esempio Stella McCartney. La stilista si impegna da anni nel creare un tipo di moda etica e slow. Per le sue creazioni utilizza il cotone biologico, anche l’Econyl, un nylon proveniente dal riciclo di plastica e reti da pesca, e un materiale proveniente da certificate.

Anche l’azienda Gucci ha preso un impegno a lungo termine per promuovere un modello di business più sostenibile annunciando il “Culture of Purpose”una strategia di sostenibilità decennale (dal 2015 al 2025) sostenuta da una serie di obiettivi da raggiungere entro il 2025. In particolare per quanto riguarda l’ambiente, alcuni degli obiettivi riguardano: ridurre l’impronta ambientale totale del 40% entro il 2025; ridurre le emissioni di gas serra del 50%; raggiungere il 100% di tracciabilità per le materie prime; approvvigionamento al 100% di energia rinnovabile entro la fine del 2022; sviluppare approcci innovativi per l’approvvigionamento sostenibile, le materie prime e i processi.


In conclusione la moda non è solamente qualcosa che esiste sotto forma di abiti. La
moda ha anche a che fare con le idee, con il mondo in cui viviamo e con ciò che
accade. Le nostre scelte, anche per quanto riguarda un semplice capo da acquistare,
possono iniziare a fare la differenza, non sottovalutiamone l’importanza.

Verso una moda più green, Di Marzia Formoso


FONTI:
•Alta moda sostenibile: le case del lusso cambiano passo, su Amica, 2020.
•Enciclopedia Treccani, treccani.it.
•Equilibrium.gucci.com
•La sostenibilità è importante, ma vende? Sì, secondo i buyer, e sempre di più, Il Sole 24 ORE.
•Lunghi C., Montagnini E., La moda della responsabilità, FrancoAngeli, Milano, 2007.
•Minney S., Slow fashion: aestethics meets ethics, New Internationalist Publications, Oxford, 2016.
•Tartaglione C., Gallante F., Guazzo G., Sostenibilità: moda. Cosa significa, come si applica, dove sta
andando l’idea di sostenibilità nel sistema moda, Ares 20, Soges, 2012.
•http://green.it