Geografia dei cambiamenti climatici

                                                             di Michele Mazzieri
I cambiamenti climatici stanno cambiando la fisionomia della Terra. Anno dopo anno aumentano l’intensità e la frequenza di eventi meteorologici estremi collegati al riscaldamento globale. Da temperature ai limiti del sopportabile fino all’innalzamento del livello del mare, passando per biodiversità floristiche e faunistiche incenerite da incendi incontrollabili e città investite da perturbazioni violentissime; le attuali generazioni sono le prime a vivere in maniera diretta gli effetti più distruttivi dei cambiamenti del clima di origine antropica. I dati attualmente disponibili ci possono far pensare a due possibili scenari, fra i quali il migliore è solo il male minore. A fine del secolo, la temperatura sarà aumentata fra i 2 e 5 gradi, mentre il livello dei mari sarà salito di mezzo metro o di un metro e venti.  I dati attualmente disponibili ci possono far pensare a due possibili scenari, fra i quali il migliore è solo il male minore. A fine del secolo, la temperatura sarà aumentata fra i 2 e 5 gradi, mentre il livello dei mari sarà salito di mezzo metro o di un metro e venti. Sempre nell’arco dei prossimi settanta anni, gli inquinanti avranno raggiunto soglie critiche.
La produzione di carne reclama fra le centinaia e le migliaia di litri d’acqua per chilo di carne e lo sfruttamento di circa il 30% della superficie terrestre, deforestando, impoverendo il terreno e scaricando sia nelle acque che nei suoli sostante inquinanti e nocive. Solo entro il 2050 le morti associate all’esposizione al microparticolato PM10 e PM2,5 sarà più che triplicato, passando dal milione di inizio millennio a tre milioni e mezzo. È recente la scoperta di microplastiche entrate nel ciclo dell’acqua e addirittura di loro tracce nella placenta umana, fatto esemplificativo di quanto il problema sia ormai capillare e che lascia facilmente presagire quanto lo sarà nel prossimo futuro.
La complessità di un simile scenario può essere letta attraverso la sua universalità. Mettere in correlazione gli effetti dei cambiamenti climatici non li riconduce solo a una causa comune – l’attività antropogenica – ma mostra anche e soprattutto la loro portata globale per la quale, ricorsivamente, urge una presa di coscienza e di posizione collettiva.

San Paolo  @Andre Lucas

Una mappa dei fenomeni calamitici

Fare una mappa meteorologica dei cambiamenti climatici serve a orientarne la nostra comprensione attraverso una contestualizzazione molto accurata. I modelli del clima sono strumenti i quali, con delle simulazioni matematiche e fisiche, permettono di realizzare delle approssimazioni piuttosto sofisticate delle dinamiche climatiche. Essi, però, nel tentativo di ricostruire le condizioni di singoli fenomeni atmosferici straordinari, i quali stanno crescendo in frequenza e intensità, soffrono di un’eccessiva astrazione. Il vantaggio di usare, invece, modelli meteorologici sta nell’avere a disposizione una maggiore “risoluzione” con cui prevedere e attribuire cause ed effetti ai fenomeni, prima di considerarli in relazione tra loro.

L’ultimo decennio è stato il più caldo di sempre. Nel 2021, le ondate di calore hanno investito tutto l’emisfero settentrionale, in modo particolare nelle fasce centrali. In America, tutto il territorio statunitense e in modo particolare il nordovest pacifico, il nord del continente africano, i Paesi mediorientali fino l’India e la Cina in Asia; e il Sudafrica e l’Australia nell’emisfero meridionale sono state le regioni del mondo più calde, in cui si sono registrate temperature oltre i 50°C.

In Canada e in Russia, nella parte settentrionale dei rispettivi continenti, nel Mediterraneo, nell’Africa subsahariana e nel profondo Sudamerica sono stati raggiunti fino a 45°C. Forse, i dati più allarmanti, ma anche quelli in grado di restituire meglio un’idea precisa della gravità della situazione, vengono proprio dalle regioni con clima artico e subartico. In Groenlandia e nei paesi scandinavi e nordeuropei i termometri hanno segnato fra i 30°C e i 35°C. In Antartide, nell’Isola di Seymour, ci sono stati per la prima volta in assoluto più di 20°C.

Il surriscaldamento del pianeta si manifesta con delle conseguenze sempre più visibili e tangibili sia sull’integrità dell’ambiente naturale che sulla sua stessa vivibilità per l’uomo.

Le temperature in Nordamerica hanno raggiunto delle massime al limite della tolleranza umana e urbana, provocando centinaia di decessi e facendo letteralmente squagliare case, asfalto e cavi elettrici – anche nelle zone più fredde e di notte, durante la quale, nonostante delle escursioni termiche doppie rispetto al normale, raramente si è sceso al di sotto di valori da ore diurne. Sul versante pacifico, fra le più alte 48°C a Washington, 47°C a Salem, 46,6°C a Portland e 46°C a Lewiston, mentre la Death Valley, in California, ha raggiunto i 54,4°C, una delle più alte mai registrate sul pianeta. A nord-ovest anche il Canada è stato sorpreso dal grande caldo, responsabile anche qui di centinaia di vittime, danni alle case e problemi alle strade, non progettate per resistere ai 49,6° di Lytton.

L’Europa ha conosciuto la temperatura più alta della sua storia a Siracusa, in Sicilia, dove sono stati toccati 48,8°C. Tutto il Mediterraneo è stato attraversato da un’ondata di calore la quale, oltre a portare Montoro, in Spagna, oltre i 47°C e Tunisi fino a quasi 49°C, ha contribuito ad aumentare ulteriormente la temperatura marina e la concentrazione di sale nell’acqua, il cui ecosistema rischia di essere compromesso in modo irreversibile. Fra il Medio Oriente e l’Asia Centrale, una bolla di alta pressione ha portato, Omidyeh, in Iran, a 51°C, mentre a Uchadzhi, in Turkmenistan, ce ne sono stati 46,7°C. Questo fenomeno fa stazionare il caldo e impedisce la formazione di piogge, rendendo la vita e il rapporto con l’ambiente particolarmente difficile e spingendo le comunità più esposte a doversi spostare.

L’innalzamento delle temperature è connesso all’aumento degli incendi che, ogni anno, bruciano decine di milioni di ettari di terreno, con le specie animali e vegetali che le abitano. Tanto caldo, poca pioggia e il disboscamento rendono i terreni più secchi, alterando la stagionalità dei biomi. Le stagioni secche durano di più e inaridiscono più terra la quale, se da una parte viene sfruttata per creare terreni coltivati e allevati, dall’altra è più a rischio di sviluppare grandi incendi. Fra i climi maggiormente interessati a questo tipo di eventi ci sono il mediterraneo, presente, oltre alle terre bagnate dall’omonimo mare, anche in California, nel Cile centrale e sulle coste sudoccidentali del Sudafrica e dell’Australia in cui cresce la macchia, il “chaparral” e tipi di vegetazione molto fitta e arbustiva; il temperato, in particolare dove si trovano steppe e praterie; le savane e le foreste, inoltre, sono due degli ecosistemi più naturalmente predisposti a fenomeni incendiari, esasperati nel numero e nelle dimensioni dall’attività umana.

@Noah Berger.

San Fransisco   @Noah Berger

Negli ultimi tre anni c’è stato un numero di incendi incredibilmente alto. Le aree boschive nel Mediterraneo, negli Stati Uniti, e in Australia, ma anche la foresta boreale nella taiga siberiana e la foresta amazzonica nell’America meridionale sono state le zone che hanno bruciato di più e che hanno riportato significativi danni naturalistici, sociali ed economici.
Nel 2019, i più di 40.000 incendi in Amazzonia si sono protratti per quasi tutto l’anno, riducendo in cenere più di 900.000 ettari di foresta pluviale e concretizzando uno stereotipo da scenario distopico. Ad agosto, il cielo di San Paolo è stato annerito dal fumo, una cortina visibile dal satellite carica di monossido di carbonio e monossido di azoto, che la ha raggiunta da tremila chilometri di distanza e oscurata come se fosse improvvisamente calata la notte.
Nel 2020, analogamente, la luce di San Francisco, in California, si è tinta di un fosco arancione scuro a causa delle fiamme che hanno lambito un’area di circa 1.800.000 ettari, facendo piovere cenere sulla città e riscaldando l’aria fino a farla diventare quasi irrespirabile.
Nel 2021, il protrarsi degli incendi russi e siberiani cominciati nei due anni precedenti ha generato delle nubi tossiche che si sono estese fino a duemila chilometri dal punto di origine. Per la prima volta nella storia, il fumo di un incendio ha raggiunto il Polo Nord. Nello stesso anno, i fuochi nell’Africa subsahariana sono stati responsabili di 1,44 PgC, equivalente al 14% delle emissioni di CO2 da combustibili fossili nel mondo. Si tratta dell’area con incendi più vasta al mondo nella quale, secondo un nuovo studio, la grande quantità di piccoli focolari (<100he) costituisce un elemento determinante nell’impatto complessivo delle emissioni di gas serra.

La Siccità

E un’altra conseguenza del riscaldamento globale. A temperature più alte, l’acqua evapora più velocemente dal terreno e ci sono meno precipitazioni, sia allo stato liquido che solido. In questo modo, sia le stagioni secche che le stagioni più umide sono più estreme e si verificano siccità, da una parte, e inondazioni dall’altra.

Anche in questo caso, l’uomo è responsabile dei cambiamenti che stanno prosciugando la terra, sia per il calore che genera che per il suo uso sconsiderato dell’acqua.

Nell’emisfero boreale, è la fascia centrale dei continenti a soffrire di più la siccità. L’area fra  il sud del Canada e il nord degli Stati Uniti spicca per le condizioni di estrema secchezza, fino a due volte rispetto al normale, che ha coinvolto più di 137 milioni di persone. Il lago  Mead, la più grande riserva di acqua dolce degli USA, è ai minimi storici e la diga di Hoovestenta a produrre la stessa quantità di energia idroelettrica.
La Moldavia e l’Ucraina, calcolando in rapporto l’acqua disponibile e quella necessaria, sono le nazioni più a rischio siccità in Europa. Poco lontano, in Siria, la scarsità di acqua, la carestia e la povertà sempre più assetata hanno infierito su una società che versava già in condizioni precarie, portando un milione di persone a migrare verso le città circostanti per sopravvivere. Il nord dell’India è una delle regioni più afflitte dalla mancanza di acqua. Il suo utilizzo massiccio nell’irrigazione ne ha consumato 108 chilometri cubici, una massa sufficiente a influenzare il campo gravitazionale terrestre. 670 milioni di residenti fra Dehli, Punjab e Gujarat, più della metà della popolazione indiana e circa il 10% di quella mondiale, rischiano il collasso della propria agricoltura e delle proprie stesse città. Lo stesso problema è legato all’impronta idrica delle industrie cinesi.
A sud dell’equatore ci sono i Paesi più colpiti. L’America del Sud, le cui economie sono basate sul settore primario e poco industrializzate, soffre la forte siccità degli ultimi anni in  modo particolare. In Brasile, soprattutto verso le coste orientali, le scorte di acqua sono   scarse e inquinate. Un milione di persone in Madagascar è alle prese con una carestia, aggravata da altri disastri naturali, che impedisce loro di mangiare e bere.   
Nel mondo sono molti i corsi d’acqua che si stanno prosciugando a causa dei cambiamenti climatici, intorno ai quali la vita di piante, animali e persone è sempre più difficile. Il fiume Colorado fra Stati Uniti e Messico, sfruttato lungo tutto il suo percorso e quasi del tutto prima di arrivare al Golfo di California; il lago Poopò, in Bolivia, un tempo fonte di sussistenza per il suo ecosistema e ora morente; il lago salato d’Aral fra l’Uzbekistan e il Kazakistan, ormai tossico e quasi del tutto asciutto, sul quale rimangono solo le carcasse di vecchie navi. Sono solo alcuni esempi sulla ben più grande totalità dei casi.
Oltre due miliardi di persone non hanno ancora accesso all’acqua. Si stima che nei Paesi invia di sviluppo si debba camminare mediamente per sei chilometri, una distanza che si allunga drasticamente fino a quadruplicarsi nelle parti più povere e asciutte del mondo, come l’Etiopia, il Nepal e lo Yemen e che porta donne e bambini lontano da una vita dignitosa. Entro il 2050, cinque miliardi di persone non avranno a disposizione abbastanza acqua per i propri bisogni primari e si vivrà dovendo razionare la risorsa che più di tutte, oggi, ci appare illimitata.

Disparità delle emissioni globali  @https://www.science.org/doi/10.1126/sciadv.abe4342

Le alluvioni

Sono il fenomeno speculare della siccità. Come le stagioni aride, anche quelle secche risultano estremizzate. A causa del disboscamento, dell’erosione de suolo e dell’eccessiva cementificazione che rendono la terra incapace di trattenere l’acqua, gli effetti delle perturbazioni sono catastrofici.

Lo scioglimento dei ghiacciai, per di più, fa alzare il livello dell’acqua, che nei prossimi decenni potrebbe sommergere le strade di città come Venezia, Amsterdam, Stoccolma, Bangkok e molte altre.
Le parti del mondo più soggette a piogge torrenziali, inondazioni e alluvioni sono generalmente quelle a ridosso di fiumi o sulla costa. Si tratta di un rischio sempre più diffuso,  che minaccia ancora più seriamente le aree densamente popolate e quelle in cui coincide un alto grado di siccità. Il nordest asiatico ospita quasi un milione e mezzo di persone su cui incombe la forza distruttrice dell’acqua, 329 milioni in Cina e 225 milioni in India, ma l’allerta è alta anche in Bangladesh e Pakistan.
A sud del Sahara, le condizioni di miseria rendono 171 milioni di persone le più esposte agli effetti che derivano da disastri idrogeologici, fra Sudan, Nigeria, Niger Cameroon, Chad e Congo. In America Latina e nella regione caraibica le inondazioni sono il disastro naturale che si verifica più frequentemente e, purtroppo, anche quello con la mortalità più alta.

I cicloni

Sono aumentati a causa dei cambiamenti del clima. Fenomeni tipici della   fascia equatoriale, a seguito del riscaldamento terrestre, questi movimenti di aria calda che convergono intorno a un centro di bassa pressione si formano sempre più spesso anche ad altre latitudini. Con il diminuire della differenza fra la temperatura dell’equatore e dei poli, le correnti d’aria incontrano più facilmente le condizioni per diventare vortici.

Gli uragani appartengono all’Atlantico nord-occidentale, il principale bacino che genera  cicloni e che interessa il Mare dei Caraibi, il Golfo del Messico e l’Arcipelago delle Bermuda;  e al Pacifico centro-settentrionale e nord-orientale, il secondo bacino per attività e intensità, che include le Hawaii, la costa occidentale del Messico e la parte settentrionale del centroamerica. I tifoni, invece, appartengono al Pacifico nord-occidentale e affliggono più di tutti la Cina, incui la stagione delle tempeste si sovrappone a quasi tutta la durata dell’anno, il Giappone, l’arcipelago delle Filippine e Taiwan, ma anche Vietnam, Corea del Sud, Indonesia e molte isole dell’Oceania settentrionale. È il bacino più attivo, responsabile da solo di un terzo dei cicloni mondiali.
Altre aree di formazione, relativamente meno intense, sono il Pacifico sud-occidentale, in cui è compresa l’Australia, e i tre bacini dell’Oceano Indiano: il Settentrionale, fra Golfo del Bengala e Mare Arabico che colpisce, anche molto duramente, India, Bangladesh, Sri Lanka, Thailandia, Birmania e Pakistan; il sud-orientale, fra Australia e Indonesia e il sudoccidentale, nella regione che comprende Madagascar, Mozambico, Mauritius e Kenya.
La temperatura degli oceani tropicali è già aumentata fra il quarto di grado e il mezzo grado, conseguenza indotta dall’effetto serra e a sua volta alimenta questo tipo di calamità. Negli ultimi decenni sono stati documentati sempre più spesso cicloni e perturbazioni violente anche in regioni e città a basso rischio, dove raramente o mai si abbattono. Sono esemplificative le piogge che hanno allagato Germania, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo e Italia.
Sebbene sia difficile individuare delle regolarità nell’andamento di tempeste e cicloni, è stato possibile notare che la loro portata è in continuo aumento, che sempre più spesso rientrano nelle categorie più alte e proprio la loro crescente imprevedibilità suggerisce connessioni con l’uomo.

Osservazioni

Come è possibile osservare da questa – seppur sommaria – mappatura, i cambiamenti climatici sono già un processo diffuso.

Perché, allora, “disegnarne” una mappa?

Alcune aree geografiche del mondo e alcune popolazioni in particolare, soprattutto quelle più povere e in via di sviluppo, sono le più colpite da disastri naturali. La distruzione degli ecosistemi, la scarsità di risorse primarie e i conseguenti flussi migratori e conflitti che ne conseguono stanno corrompendo antichi equilibri, laddove sono più fragili. Tuttavia, si prevede che entro pochi anni queste dinamiche avranno portata globale. Con l’andamento attuale, fra il 2050 e il 2100 una grande parte della popolazione mondiale sarà interessata da fenomeni calamitici in grado di condizionare pesantemente la vita nella società come la conosciamo oggi. Proprio per questo motivo, osservare la “democraticità” della crisi climatica, seppur nelle varianti date delle differenze e dalle singolarità geografiche, serve a prendere consapevolezza di quanto la nostra libertà individuale sia vincolata alla sua dimensione collettiva.

La distribuzione dei disastri naturali   @Carbon Brief  https://www.carbonbrief.org/guest-post-reviewing-the-summer-of-extreme-weather-in-2021

 

Geografia dei cambiamenti climatici, di Michele Mazzieri