DA RIO DE JANEIRO A GLASGOW

Di Aytana Alvarez

Calamità naturali ed eventi meteorologici estremi, hanno fatto sempre arte del nostro ecosistema terrestre,ma stanno diventando sempre più frequenti e intensi. Dal periodo industriale, l’uomo è il maggior responsabile dei danni ambientali: dall’estinzione di specie animali e vegetali fino al consumo illimitato di risorse naturali


Nel 1987 fu pubblicato il Rapporto Brundtland, dall’omonima Commissione presieduta da Gro-Harlem Brundtland, primo ministro della Norvegia, che specificava perché i problemi globali dell’ambiente fossero dovuti particolarmente alla grande povertà del Sud e ai modelli di produzione e di consumo illimitato dei Paesi del Nord. Nel rapporto si sottolineava, dunque, la necessità di attuare una strategia in grado di far collimare lo sviluppo economico e quello ambientale, concreta e parallelamente.

Subito dopo la sua pubblicazione venne adoperato dentro al quadro legislativo il concetto di “sviluppo sostenibile” che diventò sempre più noto per interpretare intrinsecamente: le politiche economiche, sociali ed ambientali.

Nel 1992, in occasione della Conferenza sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite, conosciuta anche come “Summit della Terra”, è stata approvata la Convenzione delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC). Questa Convenzione, stipulata a Rio de Janeiro nel 1992, ha avuto come obiettivo principale quello di stabilizzare le concentrazioni dei gas serra in atmosfera. In poche parole, i Paesi industrializzati si imposero di adottare misure di mitigazione nazionali e di comunicare costantemente dati dettagliati sulle politiche, sulle misure da attuare e sugli scenari di riduzione. Gli accordi di Rio entrarono in vigore il 21 marzo del 1994.

Nel 1997 fu adottato, invece, il Protocollo di Kyoto che stabiliva, sempre per i Paesi più industrializzati, l’obiettivo di ridurre le emissioni complessive di gas serra del 5% entro il periodo quadriennale, 2008-2012.

Sulla scia delle conferenze internazionali sul clima, la COP 26 di quest’anno a Glasgow ha dato particolare rilievo agli studi eseguiti dalla comunità scientifica, che sottolinea l’urgenza di aumentare lo sforzo nel processo di lotta al riscaldamento globale, per colmare le lacune lasciate dall’Accordo di Parigi. Questo accordo che, nel 2015, aveva coinvolto 195 Paesi, accomunati dall’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra per contenere l’aumento della temperatura al di sotto dei 2°C e abbassare il delta di temperatura a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali.

I tre settori più inquinanti secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia sono: energia, coltivazione ed agricoltura

AIE

Degli accordi stabiliti alla COP 26, i tre che hanno avuto maggior influenza sui negoziati e a cui la presidenza britannica ha dato maggior risalto per il prossimo decennio, sono stati:

1) La fine del carbone in vista: 

Nella seconda giornata della COP 26, 4 novembre, dedicata all’energia, a Glasgow si discuteva uno tra gli accordi più importanti: l’abbandono del carbone. La presidenza britannica comunicava che una forte coalizione di 190 paesi e organizzazioni si stava accordando con il fine di eliminare gradualmente l’utilizzo di carbone per la produzione energetica. Dopo il comunicato ufficiale, solo 23 paesi presero parte a questo impegno, tra cui: Indonesia, Corea del Sud, Egitto, Spagna, Nepal, Singapore, Cile e Ucraina. E 20 paesi in via di sviluppo, come Vietnam, Marocco e Polonia, si sono accordati per non costruire nuove centrali a carbone.

Il sistema di produzione energetica basato sul carbone è il principale responsabile della crisi climatica

Dei tre combustibili fossili (carbone, petrolio e gas), il carbone è quello che ha generato maggior numero di emissioni di CO2 dalla rivoluzione industriale ad oggi. Ma se poniamo fine al suo uso, quale sarà il panorama futuro? Innanzitutto è essenziale smettere di sfruttare questo combustibile fossile inquinante, ma è altrettanto fondamentale che la transizione energetica sia progettata verso un panorama che tenga conto, principalmente, dei danni sull’ambiente. A tal proposito potremmo considerare il caso degli Stati Uniti, che, durante la presidenza di Donald Trump, hanno ridotto considerevolmente l’utilizzo di carbone, sostituendolo con gas naturale e ottenendo una conseguente riduzione delle loro emissioni di CO2. Scelta, però, applicata per motivazioni economiche (prezzi ridotti) non con l’intenzione primaria di applicare politiche sul clima. La transizione energetica dev’essere invece una possibilità concreta per tutti verso fonti ecologiche e non verso altre fonti fossili.

2) Impegno globale per il metano

Un punto focale alla COP 26, oltre alla riduzione delle emissioni di CO2, é stata la discussione sul gas metano, in quanto è stata promossa un’iniziativa dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, che comporta la riduzione delle emissioni globali di metano, di almeno il 30%, entro il 2030. Quanti e quali Paesi hanno firmato? Il numero totale dei firmatari è stato di 104 Paesi, compresa la comunità Europea. Inoltre hanno aderito anche paesi latinoamericani come: Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Ecuador, El Salvador, Honduras e Messico.

Dopo le emissioni di CO2, quelle di metano sono la seconda causa del riscaldamento globale. Ridurli è una componente necessaria per il clima,  poiché il 60% di queste emissioni sono di origine antropica.

3) Dichiarazione dei leader di Glasgow su foreste e uso del suolo

Il 2 novembre i media britannici riportavano titoli come “I leader mondiali si impegnano a porre fine alla deforestazione entro il 2030”. Le nazioni che hanno firmato questa dichiarazione hanno deciso di lavorare insieme per arrestare la perdita di foreste ed invertire il degrado del suolo entro il 2030, stabilendo al contempo la promozione di una trasformazione rurale inclusiva. Così facendo – secondo le loro stesse parole – uniranno loro sforzi per fare progressi nelle seguenti aree di azione:

Quali paesi hanno firmato? Dall’ultimo aggiornamento del 12 novembre, risulta che 141 paesi hanno firmato questa dichiarazione. Secondo i dati forniti dalla stessa COP 26, il 90,94% delle foreste sarebbero coperte da questi paesi firmatari. Dell’America Latina, regione di grande importanza per i suoi diversi ecosistemi come l’Amazzonia -polmone del mondo- hanno aderito all’accordo Paesi come: Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Repubblica Dominicana, Ecuador, Guatemala, Honduras e Messico.

La deforestazione, ha provocato una perdita di 420 milioni di ettari di verde (quanto tutto il territorio della Unione Europea) dal 1990, secondo un rapporto dell’anno scorso dell’ONU.

Perché vanno tutelate le foreste? Perché esse agiscono come serbatoi di carbonio. La deforestazione contribuisce al cambiamento climatico perché il carbonio che non viene più assorbito viene rilasciato nell’atmosfera. Il degrado della terra ha, inoltre, un grande impatto sulle economie rurali e influisce sulla disponibilità di cibo. Resta da dire che questi tre impegni concordati nel quadro della COP 26 non appartengono al processo formale dei negoziati, ma incentivano l’azione per il clima e sono  importanti per la lotta alla    crisi climatica.

Di Aytana Alvarez,  Azioni per il clima, Da Rio de Janeiro a Glasgow


Fonti: